I PRINCIPIANTI DELLA DISCIPLINA

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COME PUNIRE PER FORZA

Storia assurda di un potere indisciplinato

Quello che vogliamo raccontarvi non è una storia di un particolare evento, bensì una prassi consolidata che ormai da diversi anni si sta attuando nelle forze armate.

Comandanti e interi stati maggiori hanno adottato la prassi del “copia incolla”, segno evidente che ad oggi la capacità di comando si basa sulla pedissequa lettura di vademecum partoriti dagli stati maggiori e diffusi poi alle periferie di enti e caserme.

A loro volta i comandanti delle sedi periferiche sempre in maniera pedissequa, leggono senza minimamente contestualizzare quello che in discesa lo stato maggiore di forza armata comunica, omettendo la responsabilità personale delle azioni di comando.

Mettiamo caso che per un qualsiasi motivo un militare si trova erroneamente coinvolto in un fatto che all’apparenza sembrerebbe un reato.

La normativa prevede nel caso di un indagato militare per reati da codice penale,che l’amministrazione adotti dei provvedimenti che possono definirsi cautelativi sia per l’immagine della forza armata sia per altri soggetti, così si sospendono avanzamenti, trasferimenti, impieghi, concorsi, lasciando il militare coinvolto in un limbo fino a definizione della sua posizione giudiziaria.

Va bene, la norma possiamo definirla fondata, ovvero ha un suo senso.

Ma se nel corso delle indagini non emergono fatti e circostanze che determinano la colpevolezza del malcapitato, continuare ad usare metodi quali cominciare a prescindere un’azione disciplinare, assume il connotato di una vera e propria persecuzione senza alcun fondamento.

E veniamo ai fatti.

Un Graduato dell’Esercito di stanza a Rimini, nel lontano 2004 viene inserito nell’elenco di alcuni indagati per fatti criminosi e al quale gli si attribuisce un’ambiguità delle frasi, tali da presumere a detta del giudice istruttorio e dai verbali degli inquirenti, che possa esistere un fatto criminoso.

Più tardi negli anni quasi tutti i responsabili di quell’indagine, vengono incriminati per reati gravi, licenziati e sospesi dai loro uffici e cosa strana spariscono le intercettazioni causa dell’incriminazione.

Nel frattempo comunque la magistratura continua le sue indagini e la conclusione di queste scagionano completamente il Graduato dell’Esercito con una sentenza che lo stesso comunica celermente alla propria linea gerarchica.

Quindi riassumendo, il Graduato, che nel frattempo è stato bloccato nell’avanzamento, impedito di fare concorsi, domande per incarichi e trasferimenti, alla luce della sentenza si sarebbe aspettato un totale reintegro e una giusta e sacrosanta ricostruzione della carriera, invece…… .

Invece succede che lo Stato Maggiore Esercito, Direzione Generale del Personale Militare – 1 Reparto 3^ Divisione Disciplina, invece di leggere le carte (che nel corso del procedimento si viene a conoscenza che non le ha integralmente) avvia un iter disciplinare di stato per irrorare una sanzione che in questo caso avrebbe potuto prevedere anche il licenziamento.

La domanda viene spontanea, ma alla luce dei fatti noti, era necessario? La risposta? Ma si chi se ne frega, se la vedranno i propri comandanti, senza pensare ai danni che tale atteggiamento avrebbero provocato al malcapitato di tanta superficialità ed indifferenza.

E’ così fu, il proprio comando d’area, ricevuta la notizia della 3^ Divisione Disciplina, invece di fare una vera attività istruttoria per verificare se le condizioni per poter demandare ad una commissione disciplinare di stato siano o meno reali, sempre pedissequamente, nomina un ufficiale inquirente che in pompa magna comincia la sua missione sempre a testa bassa. Infatti le sue non valutazioni dei fatti e degli avvenimenti costringono il nostro collega a doversi affidare ad un avvocato, deve nominare un militare difensore e poi, fortunatamente essendo lui stesso un socio fondatore del SILME, nella sfortuna della vicenda, almeno qualche alleato ce l’ha.

Quindi comincia un iter che a dire vergognoso è fare un complimento, senza tralasciare il comportamento ambiguo e poco rispettoso che la sua linea di comando continua imperterrita ad adottare nei suoi confronti, con documenti omessi, carte non lette e fatti approssimati.

L’ufficiale inquirente (che ha la massima responsabilità in questo caso), chiede al nostro iscritto una memoria, che prontamente gli viene recapitata dove si spiegava in modo lineare e con atti alla mano, che il procedimento che si stava facendo era completamente fuori luogo.

L’ufficiale inquirente comincia una comunicazione messaggistica e vocale con colui che avrebbe dovuto giudicare (ci sono le email che lo dimostrano ed alcuni screenshot delle chatt) e avrebbe invece dovuto astenersi dal farlo.

In queste email e chatt cosa avviene? L’amministrazione brancola nel buio ma va avanti a tastoni, interveniamo anche con una memoria pro-veritate redatta da un legale dove si evidenziano incongruenze, omissioni e altre condizioni e contraddizioni, che non solo sono penalizzanti ma addirittura gravano sulle casse dell’erario senza nessuna giustificazione giuridica a sostegno.

Ma niente, malgrado l’ufficiale inquirente avesse in suo possesso ogni elemento per dire al proprio comando che il procedimento doveva essere archiviato, continua pedissequamente ad andare avanti.

Si sa, quando un generale comanda, che sia giusto o sbagliato la cosa si deve fare, tanto paga pantalone semmai, ovvero l’avvocatura di stato, ovvero il rimborso per le spese legali anche di fronte ad un modo di agire che dire principianti è poco, le parole giuste sono indifferenza e superficialità.

Sfortuna vuole per questi signori blasonati di gradi ma poco competenti si siano trovati di fronte una squadra, difatti il nostro collega non è stato lasciato solo a fronteggiare tanta arroganza.

Con la collaborazione di associazioni sindacali anche di diversa forza armata ma con gli stessi ideali di giustizia ed equità, (SILF e SILME) abbiamo costruito una difesa che non si lasciasse sopraffare dalla struttura gerarchica.

Fatto sta che a settembre del 2020 (sono passati la bellezza di 16 anni dal fatto e 2 dalla sentenza di scagionamento), la commissione di disciplina di stato presieduta dall’ufficiale inquirente che pedissequamente aveva eseguito l’ordine del generale comandante di area che a sua volta aveva pedissequamente eseguito gli ordini 3^ Divisione Disciplina, che a sua volta aveva letto pedissequamente il vademecum, sentenzia che non si debba procedere nei confronti del Graduato, ma omette di dire il perché.

Ebbene le motivazioni erano semplici fin dall’inizio, non c’erano elementi tali da dover iniziare il procedimento e inoltre tutto l’iter amministrativo dell’ufficiale inquirente era viziato, parziale, incompleto.

Ma il comando d’area, che avrebbe semplicemente dovuto prendere atto della cosa, evidentemente sentitosi usurpato di un potere assoluto di poter sentenziare a proprio piacimento senza seguire le regole e la legge, decide dopo un mese di revisionare il verdetto della commissione e ordina un supplemento di indagine.

Assurdamente si ripetono gli stessi errori commessi la prima volta anzi facendone di più e naturalmente il fattore uomo e le conseguenze emotive, quindi personali e professionali del collega incappato nella logica del punire per forza, vanno a farsi benedire (in sintesi, fatti suoi, chi se ne frega).

L’ufficiale inquirente che avrebbe dovuto dire al suo comandante che non esistevano fondamenti per procedere e alla luce dei fatti erano evidentissimi gli sbagli della catena gerarchica sulla trattazione dell’argomento, che fa? Come fanno tutti quelli che piuttosto che dire no al proprio comandante sia per una questione etica professionale (per dire), sia per una questione umana (che non c’è stata), sia per una questione anche legale (tutta sbagliata), abbassa il capo e va avanti.

Dopo un mese si convoca di nuovo la commissione disciplinare di stato per decidere quello che avevano già deciso (e quindi spendendo nuovamente altre migliaia di euro) fogli di viaggio, macchine militari e i costi sempre a carico del collega incriminato, avvocato e carte da riprodurre.

Si riunisce nuovamente la commissione disciplinare di stato e affronta nuovamente le stesse cose affrontate precedentemente, compie gli stessi sbagli fatti precedentemente che a questo punto diventano volontà di sbagliare, fino ad arrampicarsi sugli specchi per avere a tutti i costi ragione, ma scivola nuovamente sulla buccia di banana della superficialità e della scarsa etica professionale dimostrata nell’affrontare l’intera vicenda.

Il giudizio della commissione avrebbe dovuto essere quello di dire, che nei confronti del militare incriminato, non si doveva dar luogo a procedere perché non esistevano elementi tali da giustificare un giudizio di colpevolezza.

Invece, nella classica maniera adottata molto spesso per non ammettere di aver sbagliato, la commissione sentenzia un giudizio ponzio-pilatesco e comunica alla 3^ Direzione Disciplina che a sua volta emette il seguente decreto:

E no, almeno il coraggio di ammettere i propri errori signori dirigenti dovreste averlo, non è per perenzione di termini, bensì per non aver valutato professionalmente tutti i fatti e aver comunque voluto procedere pedissequamente senza fermarsi a pensare quali sarebbero state le conseguenze per un militare, che magari non poteva permettersi un avvocato, non aveva punti di riferimento a cui rivolgersi per avere diritto dei suoi diritti.

I Sindacati Militari fanno paura perché evidenziano comportamenti che non dovrebbero avvenire e poco importa se li ordina un generale, un’ingiustizia non va assecondata, specie se si veste una divisa, si ricopre un ruolo e si giura fedeltà alla Repubblica Italiana con la famosa frase (evidentemente scordata da questi signori) che recita testualmente  «Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina e onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni».

Questa frase include anche il rispetto della dignità altrui e della propria e in questo caso e in altri migliaia il giuramento e la dignità sono andati a farsi benedire. La legge e i regolamenti vanno rispettate anche dai generali, chiaro!

Che pena, che squallore, che delusione e soprattutto che incompetenza; dirigenti si diventa per capacità e qui non ci è stato modo di averne vista nemmeno una briciola.

E allora avanti tutti pedissequamente, leggiamo i vademecum che leggere la legge è faticoso, meglio sbagliare sulla pelle degli altri, lo ha detto il generale, so che hai ragione ma non posso fare diversamente…… signori, che schifo!.

Giuseppe Pesciaioli

Segretario  SILME

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