PENSIONI, ANZIANITA’ DI SERVIZIO, RETRIBUZIONI.

L’anno che verrà si preannuncia di grandi cambiamenti retributivi e pensionistici e non sono rose.

*a cura del Segretario Generale del SILME

Le prospettive future, malgrado le rassicurazioni di una circolare INPS rispetto all’età anagrafica e di servizio, che sembrerebbe mantenere gli stessi periodi per l’accesso alla pensione, conservano comunque tutte le perplessità e incognite emerse in questi giorni.

Si parla di mantenere all’attuale i 35 anni di servizio e 58 di età anagrafica per avere diritto alla pensione anticipata, i 60 per i limiti di età.

Dal 2024 dovrebbe cessare anche la possibilità del transito in ausiliaria, ovvero la dimissione dal servizio per chi è al massimo dei 5 anni dal raggiungimento dell’età anagrafica e probabilmente anche quella a domanda al compimento dei 60 anni.

L’ausiliaria e l’aspettativa riduzione quadri, sono meccanismi utili per permettere al personale di adeguare il coefficiente di moltiplicazione pensionistico e raggiungere il massimo valore al fine di non essere penalizzato rispetto al resto del pubblico impiego.

Diciamo subito che l’aspettativa riduzione quadri è riservata al solo personale della categoria ufficiali, mentre l’ausiliaria anche per il restante personale sottufficiali e speriamo in futuro anche i graduati.

Dicevamo, le rassicurazioni della circolare INPS sembrerebbero sancire la continuità del regime pensionistico degli appartenenti alle forze armate, ma il dubbio comunque non è dipanato del tutto, perchè se pur vero che tali limiti rimarranno, ci si comincia a chiedere a quale prezzo, ovvero se la circostanza della possibilità della pensione anticipata non dovesse subire ulteriori penalizzazioni attraverso una tassazione più alta rispetto all’attuale (si vocifera un range tra il 3% e il 7% sull’ammontare annuo dell’assegno della pensione, per arrivare fino all’età anagrafica massima prevista per la permanenza in servizio).

Tassazione già presente con trattenuta mensile di circa 37 euro fino al raggiungimento dei 60 anni di età anagrafica per chi anticipa, certo poca cosa, ma di fatto c’è, quindi non rappresenta una novità, tutto sta a capire se rimarrà tale o sarà adeguata alle previsioni di spesa pubblica, oppure passare tutti al contributivo anche per il pregresso al 1995.

Quindi, dato che i lavori sulle riforme del sistema pensionistico italiano sono in itinere con diverse ipotesi, la domanda sorge spontanea, se un militare a cui è concesso di lasciare il servizio per aver maturato una anzianità tale da poter usufruire di trattamento pensionistico, se si è arrivati ad una congestione dei gradi apicali per cui la permanenza in servizio diventa addirittura controproducente per la stessa funzionalità dell’organizzazione militare, se l’età anagrafica del personale ha comunque anch’essa un limite di efficienza oltre il quale l’operatività viene meno nella condizione di utilizzo in ogni dove e se gli organici divisi per categorie sono sproporzionati rispetto alla reale esigenza, non sarebbe più logico agevolare l’uscita anche con altri mezzi e estendere l’aspettativa riduzione quadri anche al restante personale oltre che ai soli ufficiali?

D’altra parte non si possono certo imputare al personale le mancate riforme, nè tanto meno l’aver voluto congestionare alcune categorie con promozioni attraverso concorsi di facciata per rimediare a mancate attuazioni di leggi, che avrebbero dovuto garantire ad alcune categorie l’avanzamento di grado e di posizioni.

Come sarà lo scenario prossimo non ci è dato di sapere, quello che ci preme affermare è che inevitabilmente il trattenimento in servizio del personale oltre i 60 anni, sarebbe davvero penalizzante per l’organizzazione militare, stante anche i limiti organici previsti per legge; il che vorrebbe dire non arruolare giovani forze perchè la permanenza di quelli già in servizio non lo permetterebbero.

A cosa servirebbero delle forze armate che non possono fare affidamento sulla integrità fisica e capacità fisica di risposta alle eventuali esigenze? Probabilmente a poco.

Va inoltre ribadito che ad oggi l’età media della categoria dei graduati è di 38 anni (rapporto 2020 Esercito) e se consideriamo le mansioni che svolgono, sono già una veneranda età, tale da non poter pretendere un’efficienza e una prestazione fisica al 100%.

Un escamotage potrebbe essere quello che già viene attuato in molti paesi occidentali, ovvero la possibilità di lasciare il servizio a domanda al compimento di un arco di tempo minimo (alcuni 25 altri 35 qualcuno addirittura a 19,5 anni), percependo una pensione proporzionale al servizio prestato e una integrazione al raggiungimento dell’età anagrafica prevista per la cessazione per limiti d’età.

Questi sistemi prevedono anche, che il personale percettore di pensione anticipata, possa svolgere qualsiasi attività lavorativa senza penalizzare l’assegno di pensione, cosa che a molti potrebbe essere conveniente, specie se intravedono altre possibilità di carriera che all’interno delle forze armate gli verrebbero precluse per i limiti organici del personale.

Certo, se a suo tempo si fosse previsto anche il famoso terzo pilastro (ovvero una pensione integrativa) oggi saremo tutti più sereni in parte, ma così non è stato e il problema grava (neanche a dirlo apposta) sul personale, malgrado lo stesso non abbia nessuna responsabilità.

Il personale militare ha costi alti sul budget della difesa, questo è un dato di fatto, ma le distinzioni andrebbero fatte e va detto che molti di questi costi va attribuito al sistema stipendiale così detto parametrale, che premia esponenzialmente i gradi apicali in ogni assegno percepito, indennità comprese, istituzionalizzando un sistema che ad ogni rinnovo contrattuale comprime la possibilità dei gradi più bassi di veder aumentato il proprio potere d’acquisto, stante il principio della concertazione che fissa un margine di stanziamento di risorse limitato, che va suddiviso, appunto, con il sistema parametrale.

Andrebbero scorporate dalla concertazione e dal sistema parametrale le indennità e renderle uguali per tutti evidenziandoli come costi fissi di funzionamento, così da garantire il principio di proporzionalità non del grado, ma della dignità della persona.

Oggi è veramente inaccettabile che il rischio in operazioni addestrative o operazioni di altra natura, vengono retribuite secondo il grado e non secondo il rischio effettivo che ognuno si accolla nel proprio lavoro, ancor più assurdo che il riconoscimento avvenga per concertazione e non per automatismo.

Si risparmierebbero ingenti risorse non certo nell’immediato, ma nel prossimo futuro, calmierando le impennate retributive di alcune categorie rispetto ad altre.

Forse converrebbe tornare al vecchio sistema della retribuzione per anzianità, differenziando eventualmente lo stipendio di base con incrementi che distinguono i vari ruoli, gradi, responsabilità e categorie.

Così com’è la situazione odierna non è sanabile e lo scarica barile del paga chi viene dopo o chi si sta accingendo alla pensione è il solito giochino, che mette una pezza dove invece si dovrebbe sostituire il pezzo.

E’ soprattutto questo il motivo della perplessità che nutriamo sulla circolare INPS, non tanto perchè dice una eresia, ma tanto quanto perchè facendo i conti della serva, ad una penalizzazione delle operatività strutturale delle forze armate in termini di bilancio, è più semplice penalizzare economicamente chi non serve più per i compiti istituzionali, ovvero il personale e come ben sappiamo non tutti alla stessa maniera.

Fare affidamento sulla politica è l’unica possibilità che abbiamo, il problema è la politica.

*Giuseppe Pesciaioli

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi