UNA “VITA” DA GRADUATI 2

Parte seconda a cura di Gennarino Frega

Esercito Italiano oggi: condizioni di lavoro e di vita dei militari”

SINDACATI MILITARI, QUESTI SCONOSCIUTI

La prima regola di un militare è conoscere quali sono i propri “doveri” e quali sono i propri “diritti”.

Il 90% di quello che un militare conosce sul proprio “status” e sulle norme del “codice dell’ordinamento militare” lo impara attraverso le “lezioni” impartite dai propri istruttori, attraverso le “lavate di testa” dei propri superiori gerarchici e attraverso i sempre validi “consigli dell’anziano”.

La “durezza della vita militare” rafforza lo “spirito” e il “carattere”. Rende migliori sotto certi punti di vista, ma ci spinge inevitabilmente a sacrificare parte della nostra “vita personale e affettiva”.

Durante questo “percorso” possono esserci delle “difficoltà” e nessuno deve sentirsi “abbandonato”.

Quello che davvero manca è una “guida di tipo professionale, esterna all’ambito militare, ma istituzionalizzata” che possa seguire il militare durante tutto il corso della sua carriera.

Una guida a livello “personale, psicologico, lavorativo, disciplinare e persino legale”.

Un “supporto” che sappia guidare il militare nelle “prospettive di carriera”, nelle “istanze di trasferimento” e nel ginepraio di “norme” che lo riguardano, una “associazione” fatta da “militari” e da “professionisti esterni specializzati”.

Può sembrare un progetto molto ambizioso” ma chi può adempiere al meglio a questo compito se non proprio i “sindacati militari”? Uno strumento che è presente nelle “forze di polizia ad ordinamento civile” e dal quale sicuramente si può prendere esempio.

L’individuo non è mai un microcosmo e non può esserlo in ambito militare dove “fare gruppo” è fondamentale. Se pensiamo di poter “coltivare solo il proprio orticello” per andare avanti ci sbagliamo.

Questo atto di egoismo che pensiamo di fare agli altri, in realtà arreca un danno a noi stessi, perché ci impedisce di condividere con gli altri i valori che ci uniscono e che ci hanno spinto ad indossare quell’uniforme, costata negli anni tanti sacrifici fatti.

Quello che a volte manca è la “consapevolezza” di far parte di una comunità che condivide delle “idee”.

Questa “consapevolezza” spesso viene a mancare perché di fatto non vi è una “partecipazione attiva” alle dinamiche e alle decisioni prese dall’Amministrazione militare.

Manca di fatto un reale “rappresentatività” di tutte le anime che compongono il “mondo militare”.

Non tutte le categorie sono adeguatamente rappresentate e tutelate in modo “imparziale”.

Per le “forze armate” e le “forze di polizia ad ordinamento militare” non esisteva fino a poco tempo fa alcun “sindacato” ma soltanto la “rappresentanza militare”.

Si tratta di un “istituto giuridico interno alle forze armate, previsto dalla legge 11 luglio 1978 n. 382, il cui scopo è quello di tutelare il personale appartenente alle forze armate in alcuni determinati ambiti consentiti dalla legge” (fonte: Wikipedia).

Gli organi della rappresentanza militare si distinguono in:

  • Co.Ce.R. (Consiglio Centrale di rappresentanza), organo centrale, a carattere nazionale ed interforze, articolato in sezioni, rappresenta il personale dell’Esercito Italiano, della Marina Militare, dell’Aeronautica, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera;
  • Co.I.R. (Consiglio Intermedio di Rappresentanza), organo di rappresentanza intermedio;
  • Co.Ba.R. (Consiglio Base di Rappresentanza): organo di base di rappresentanza del personale militare che generalmente opera a livello reggimentale (di caserma) e rappresenta il personale presso il Comandante di Corpo; (Fonte: Wikipedia).

La “rappresentanza militare” di fatto è un “non-sindacato”, può essere considerata come la “brutta copia” di un “sindacato” vero e proprio, in quanto essa è finanziata dal suo stesso datore di lavoro, ovvero dal Ministero della Difesa; dunque, ha delle funzioni molto limitate ed è anch’essa organizzata gerarchicamente al suo interno, quindi non prevede una “tutela specifica” per gli interessi di ognuna delle categorie che compongono la forza armata e l’operato dei suoi rappresentanti non è svincolato dal rapporto gerarchico, pregiudicandone la sua “reale e concreta azione di tutela dei diritti dei lavoratori militari”.

L’esistenza della rappresentanza militare confligge attualmente con la creazione recente dei “sindacati militari”, che sono stati istituiti come “libere associazioni di militari” a seguito della sentenza n. 120/2018 della Corte costituzionale; la Consulta, con questa storica sentenza ha dichiarato:

<< l’illegittimità costituzionale dell’art.1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n.66 (Codice dell’ordinamento militare), in quanto prevede che “I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali” invece di prevedere che “I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali” >>

Manca ancora una legge che assegni ai sindacati militari “effettivi poteri di rappresentanza”.

Essi, infatti, non possono interloquire con i comandanti all’interno delle caserme (in quanto è ancora la “rappresentanza militare” con il suo Co.Ba.R. a rappresentare il personale presso i relativi “comandanti di corpo”); a livello parlamentare o di Governo il parere dei sindacati militari non incide in alcun modo sulle decisioni assunte. Siamo ancora alla preistoria della creazione di un vero e proprio “sindacato”, nonostante da parte del militare ci sia una forte volontà di partecipare attivamente alla “vita democratica delle istituzioni”.

E’ proprio questo il punto: la “mancata democratizzazione delle forze armate” rispetto ad altre categorie simili, come ad esempio, le “forze di polizia ad ordinamento civile”, le quali, pur essendo organizzate gerarchicamente e militarmente, hanno maggiore spazio di rappresentatività a livello sindacale e questo si riflette su una migliore vivibilità dell’ambiente lavorativo che aumenta lo spirito di collaborazione fra dirigenti e subordinati. Questo non inficia assolutamente l’efficacia del compito che viene svolto comunque con disciplina e rispetto delle regole, essendo garantiti comunque livelli elevati di prestazioni lavorative.

Con questo non si vuole dire che all’interno dei “corpi di polizia ad ordinamento civile” non manchino le problematiche, relativamente all’ambiente lavorativo e allo stress psicologico derivante dallo svolgimento dell’attività lavorativa; la testimonianza di tale disagio trova riscontro purtroppo nel dato preoccupante dei “suicidi in divisa” che ogni anno ci ricorda che esistono “problemi psicologici” conseguenza diretta o indiretta della vita lavorativa che devono essere affrontati attraverso la “prevenzione” e il “dialogo” con il personale.

La causa del disagio lavorativo e dello stress psicologico legato ad esso non è certo da ricercare nell’appartenenza o meno all’ordinamento militare, ma nella specificità del “lavoro in divisa” che pone l’operatore in una condizione quotidiana di “stress molto elevato”, non comune ad altri tipi di lavoro, in quanto pone la sua stessa vita a rischio nell’espletamento delle sue funzioni, nella “difesa delle istituzioni e dell’incolumità dei cittadini”.

Per questo motivo è necessario introdurre delle tutele maggiori nei confronti di tutti i “lavoratori in divisa” per salvaguardare il “benessere psicologico e fisico” durante l’attività lavorativa.

Per quanto riguarda l’Esercito, ciò può accadere soltanto attraverso una legge che dia ai sindacati militari poteri effettivi, con i quali possano realmente migliorare la vita lavorativa e personale di ogni militare.

Autore: Gennarino Frega 13/02/2022

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SILME è anagramma di “LIMES” (in latino “limite”, “confine”). Questo termine, alla fine del I secolo d.C. indicava le linee di confine dell’Impero romano. SILME è la tua “barriera” a difesa dei DIRITTI.

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